A cura di Elisabetta Ugolotti

La storia della medicina occidentale e in specie quella europea e italiana è stata contrassegnata da progressi alternati a regressi legati all’alternarsi dello sviluppo produttivo, dei conflitti e infine alla nascita della tecnologia.

Una svolta decisiva per l’orientamento definitivo che sviluppò l’odierna allopatia intorno alla metà del diciannovesimo secolo fu determinata dall’incontro dell’anatomia patologica con la nascita della semeiotica sintomatica unitamente agli interessi che si andavano definendo (in seguito, all’inizio del ventesimo secolo) intorno al “business” della moderna farmacologia. Il normale approccio proprio della tradizione vitalistica della medicina occidentale medioevale, già letteralmente falcidiato con la “caccia alle streghe” operata dalla chiesa, fu definitivamente perso.

Rinacque in quegli stessi anni (non a caso negli Stati Uniti) ad opera di Still. L’osteopatia alt

ro non è, infatti, che la rivisitazione in chiave contemporanea (nei contenuti delle affezioni che ebbe a considerare Still unitamente al nuovo sapere a cui era possibile finalmente accedere) degli approcci teorici propri del medioevo. La differenza principale che orienta l’osteopata ad osservare le affezioni da angoli di visuale diversi da quelli del medico è la stessa che intercorre tra la vita e la malattia. Al medico interessa la patologia e come combatterla; all’osteopata la vita e come funziona. L’incontro tra la fisiologia medica e l’osteopatia (nella misura in cui i range propri della fisiologia di un sistema organico individuale vengano considerati dal medico come base per lo sviluppo di una malattia e non come meri parametri statistici ordinativi) è più che auspicabile.

La differenza che intercorre tra l’osteopata e il terapista craniosacrale sta nella considerazione che quest’ultimo pone all’esperienza traumatica legata all’affezione che segue alla lesione, a quali emozioni espone questa esperienza, a quali fatti si lega un’emozione specifica ecc. Nella prassi clinica, conseguentemente,

il medico si adopera alla ricerca della patologia, l’osteopata all’individuazione della disfunzione, il terapista craniosacrale alla ricerca, nelle radici del carattere, di ciò che si lega a quell’esperienza specifica.

Il fatto che, nella realtà del “mercato della salute”, discipline differenti si contrappongano concorrenzialmente piuttosto che operare sinergicamente si spiega semplicemente osservando che sulla salute esista un mercato. Contrariamente a ciò che accade, sarebbe utile, per chi sta male, che il medico di fronte ad un evento traumatico o ad una affezione -escludesse la patologia, che l’osteopata normalizzasse la disfunzione e che il-terapista craniosacrale modulasse le relazioni profonde caratteriologico/esperenziali legate al trauma o alla malattia.